"[...] Definizione: Quando alcuni corpi di grandezza eguale o diversa sono premuti da altri corpi circostanti in modo che aderiscano gli uni agli altri, o, se si muovono con velocità eguali o diverse, in modo che si trasmettano a vicenda il loro movimento secondo un rapporto determinato, diremo che quei corpi sono uniti gli uni agli altri e che tutti insieme compongono un solo corpo, o Individuo, che si distingue dagli altri grazie a questa unione, o coesione, di corpi minori [...]" (Spinoza, Etica)"
CHIMERE, 2001
Luce ombre, non oggetti
Sophie Usunier lavora sulle contraddizioni dei concetti, le sue opere portano in loro la forza originaria del "contrasto", come se continuamente ci ponessero la possibilità aperta del suo opposto. Indecisione? No, è un porre domande, sperimentandole. Così, i lavori in questa mostra pongono il contrasto, nella loro presenza, tra forme ed informe, in cui poi noi, lo spettatore, interveniamo con il binomio abitudine o scoperta. I mostri di vetro, questi moderni esorcizzatori della paura dell'inconoscibile, tra l'aggressività dei Gargoil e della forza ipnotica dei carillon, ci appaiono qua come la nuova chimera. L'arpia di vetro come sorpresa nell'aria, che a suo confronto si fa più pesa, è strana, non ha niente a che fare con noi e con il nostro concetto di forma e d'interazione; ma inspiegabilmente, nella sua anormalità, è intima e da proteggere. Non so se è la dislocazione di noi stessi o delle nostre paure inconsce, che sono più che da nascondere da proteggere e non da nasconderle così abbrutendole, sicuramente è un qualcosa di puro, di cristallino, che non ha niente da nascondere, non ha "torti pensieri", ed è per questo che emerge, che non ha contenitori, ma allo stesso tempo non contiene, è irreale nella sua sostanza. Questo mostro di vetro è l'elemento incorporeo della corporeità. Le mani di paraffina (Prière) sono una forma ben precisa, riconoscibile e normale, ma ora sono un'apparizione, sono dei fantasmi affascinanti e bellissimi. Sono all'interno di uno studiolo, come in una cella conventuale o di un miniatore, nel momento di maggiore concentrazione nel loro essere statiche, ferme per capire perfettamente quello che dovranno fare. E' una preghiera, ma in questa volontà della mente, le mani si distraggono e come indipendenti giocano con il loro negativo, la loro ombra. Si distraggono con l'unica azione che riguarda anche la loro essenza disegnare il proprio ingombro irreale, le ombre sul muro. Le mani si distraggono e formano il loro doppio, il gioco, il mostro, il nero dell'ombra, la sua non solidità. Cose che già sono nelle mani solide così pure ed inafferrabili, che si possono consumare e sparire proprio mentre tentano di "illuminarsi". Questo è la creazione, la sua gioiosità ed imprevedibilità. La sfera di Plastilina (Giro giro tondo), la forma riconoscibile per eccellenza, qua diviene il simbolo della vera mostruosità. La sua materia è impenetrabile, è opaca, è superficie. Come "essere" è imprevedibile, non sappiamo cosa aspettarci. Ci sembra un solido, concreta ma se la tocchiamo la "rompiamo" la modifichiamo. E' inorganica, ma ha quest'alone di deperibilità. A questa è associata un'esigenza dell'uomo quella della perfezione. Questa materia viene con fatica lavorata e fatta divenire una palla, una sfera perfetta ma non lo potrà mai essere, uno continua a rigirarla a rigirarla ma l'obiettivo rimarrà sempre frustrato. E' l'apoteosi ed il paradosso dell'azione dell'uomo che interviene per sanare la scissione tra idea e materia, tra anima e corpo, pietra d'angolo dell'uomo occidentale da Platone in poi, il dare una forma concreta alle idee e viceversa. Questa presenza, la sfera, è come osservata dal movimento, un'immagine video, circolare delle mani su una sfera di plastilina (Alice). Qui l'azione ossessiva anche se ce la può indicare viene meno, poichè è un atto gratuito, spensierato si direbbe, come quello di un bambino. In questo confronto traslato tra questa presenza e l'immagine, provoca un senso di risucchio e d'inquietudine e di silenzio proprio in virtù del ribaltarsi delle proporzioni. La piccola pallina che prima potevo tenere in una mano ora non è più controllabile. [...]
( Lorenzo Bruni, curatore della mostra "Sophie Usunier", galleria Note ArteContemporanea, Arezzo)